Riassunto Promessi Sposi, Capitolo 1 - Capitolo 10

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view post Posted on 1/2/2009, 11:41




Capitolo 1
“..quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno,nei pressi di Lecco, dove cessa il Lgo e ricomincia l’Adda.”
Cosi ha inizio “i Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
La sera del 7 Novembre del 1628 il curato della zona, Don Abbondio, è sulla strada del ritorno verso casa dalla passeggiata quotidiana. In mano ha un breviario da cui legge, tra un passo e l’altro, brevi salmi. Alternando a momenti di passeggiata brevi istanti di lettura, percorreva il tratto di sentiero che dalla campagna lo avvicinava a casa; così raggiunse un crocicchio dove due stradine si dividevano raggiungendo rispettivamente il monte che dominava la zone e il fiume che si generava dal Lago. Proprio all’incrocio un tabernacolo riportava un’immagine sacra che Don Abbondio aveva sempre l’abitudine di osservare contemplando le poche figure raffigurate nell’inferno e nel purgatorio.

Don Abbondio percorreva abitualmente quello stesso tratto di strada, così quella volta rimase molto sorpreso di scorgere, proprio in prossimità del crocicchio, dure uomini che non aveva mai incontrato prima.
Avvicinandosi, inoltre, il curato notò alcuni particolari che lo preoccuparono molto agitando la sua passeggiate e il rientro verso casa. Infatti, i due uomini erano armati fino ai denti, avendo addosso una pistola con annesso corno per la polvere da sparo appesi tutti e due ad una grande cinta di cuoio, uno spadone e un pugnale che spuntava dalla loro cintola. Uno dei due era seduto sul muro di cinta che separava la stradina da una proprietà privata, mentre l’altro, in piedi, sembrava intento a chiacchierare con l’amico.

Continuando ad avvicinarsi lentamente al punto in cui i due uomini erano appostati, don Abbondio iniziò a preoccuparsi vedendo che i due, dopo averlo visto, si fecero un cenno appostandosi all’imbocco delle due stradine che partivano dall’incrosio. Tra se e se iniziò a chiedersi perchè quegli uomini fossero in attesa proprio di lui, così, cercando di non far accorgersi, tentò di scoprire la presenza di un altro viottolo da cui poter fuggire o di capire se nei paraggi ci fossero altre persone a cui poter eventualmente chiedere aiuto. Ma la sua ricerca fu vana poiché non vi era nessuno.
Allora, facendosi coraggio, decise di affrontare il pericolo e affrettando il passo giunse davanti ai due uomini ancora li appostati in attesa: subito uno dei due gli rivolse la parola chiedendo conferma su chi fosse e sulla sua intenzione di svolgere, di li a pochi giorni, il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella.
Don Abbondio, che tramava dalla paura, cercò subito di difendersi spiegando loro la sua estraneità alla decisione presa dai due giovani e che lui era stato solo incaricato di celebrare lo sposalizio.
Uno dei due bravi pronunciò la famosa frase “..questo matrimonio non s’ha da fare ne domani, ne mai!” che allarmò immediatamente il curato molto spaventato e timoroso per la sua incolumità fisica. Continuò, ormai tremante, a difendere la sua posizione spiegando che la decisione non dipendeva da lui e che avrebbe fatto volentieri a meno di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, ma alla pronuncia del nome del famoso e temuto Don Rodrigo ogni sua velleità di rivalsa svanì con il gelarsi del sangue nelle sue vene.

Don Abbondio capì che i due sgherri erano emissari di Rodrigo e tentò, per un ultima volta, di convincerli della difficoltà che avrebbe avuto rinunciando a svolgere, nell’occasione, il suo dovere di curato non tenendo la cerimonia religiosa.
Ma pronunciata la volontà di Don Rodrigo e avanzata una chiara minaccia al povero curato i due uomini si allontanarono intonando una canzonaccia volgare.
Don Abbondio rimase impietrito e terrorizzato per l’impegnativa richiesta che gli era stata imposta e per la minaccia di morte che gli era stata fatta. Riprese, così, il breve tratto di strada che lo separava ancora dalla sua casa, ma le gambe si muovevano a fatica bloccate com’erano dalla grande paura.


Capitolo 2
In questa fase ancora iniziale della narrazione viene principalmente descritto l’incontro tra Renzo e Don Abbondio. Dalla presentazione fatta da Alessandro Manzoni, Renzo appare un lavoratore onesto e dedito alla propria attività. Ha ereditato un laboratorio di filatura della seta, che se in tempi passati rendeva molto bene, al momento della vicenda narrata vedeva, però, andar diminuendo la produzione e la rendita; ma nonostante ciò il protagonista poteva comunque ritenersi tranquillo poiché, ad un discreto guadagno che ne proveniva poteva aggiungere anche i frutti di un piccolo podere che egli stesso lavorava nei momenti di scarsa produzione nel filatoio stesso.
Renzo andò a far visita a Don Abbondio con l’intenzione di definire nel dettaglio il momento in cui si sarebbero incontrati in chiesa per la celebrazione del suo matrimonio con Lucia che era previsto proprio per quel giorno.

Il curato accolse Renzo, ma alla domanda del giovane riguardo proprio al luogo a all’ora dell’incontro l’uomo di Chiesa lasciò meravigliato e piuttosto agitato il giovane.
Infatti Don Abbondio iniziò fin da subito a mostrare una certa difficoltà alla decisione di dove e quando celebrare il matrimonio opponendo ragioni di legge e di forma che dovevano necessariamente essere rispettate poiché imposte dalla Chiesa stessa.
Renzo, da parte sua, sembrava cadere dalle nuvole e sorprendersi molto alle parole del curato, poiché, non solo non aveva mai sentito parlare di certe formalità, ma soprattutto perché percepiva la strana ostinazione del suo interlocutore a non voler effettivamente chiarire quali fossero le reali ragioni e i così grandi obblighi che avrebbero dovuto ritardare la breve cerimonia.

“Antequam matrimonium denunciet..” sentenziò Don Abbondio, volendo così difendere il suo strano e improvviso atteggiamento con la regola che “prima delle pubblicazioni” fosse necessario rispettare proprio tutti i passaggi previsti.
Durante la conversazione appaiono evidenti i due diversi atteggiamenti opposti da Don Abbondio e Renzo. Il primo, quasi timido piagnucolante, si appella alla “legge superiore”, alla volontà superiore per mascherare la paura delle le minacce ricevute dai due sgherri di Don Rodrigo, mentre il secondo, molto sorpreso, appare alterato e deluso in quanto convinto che tutte le pratiche necessarie fossero già state definite e concluse.
Ma l’amorevolezza e la grande gentilezza del curato riescono, tuttavia, a porre freno all’irruenza del giovane e a convincerlo della necessità di rispettare per filo e per segno anche le ultime formalità che erano improvvisamente venute a presentarsi.

Don Abbondio riuscì, così, a prender ancora tempo contrattando con Renzo per un periodo di attesa che, da due lunghe settimane iniziali, scese ad una settimana sola.
Renzo accettò, anche se di mala voglia e per nulla convinto della necessità dei nuovi obblighi burocratici, quindi lasciò l’abitazione di Don Abbondio con la solita reverenza, ma senza il classico inchino di rispetto che lo aveva sempre caratterizzato nel rapporto col curato.
L’incontro, quindi, si conclude con la decisione, presa a forza, di posticipare di una settimana le nozze per prendere tempo e cercare di trovare una soluzione alternativa capace di accontentare sia il minaccioso Don Rodrigo che i due poveri e ignari innamorati.
Ma naturalmente Renzo lasciò il luogo dell’incontro con l’agitazione e la rabbia di chi era stato costretto a rinunciare a qualcosa di tanto desiderato e atteso da lungo tempo.
appena uscito dall’abitazione di Don Abbondio è offuscato dai cattivi pensieri e dalla convinzione che sotto il ritardo al matrimonio opposto proprio dal curato ci sia qualcosa di ben più grave e segreto.
Allora decide di tornare indietro per approfondire il discorso, ma nei pressi dell’orto adiacente alla casa Perpetua, che è la donna che aiuta Don Abbondio nelle faccende domestiche, lo ferma per parlargli. Discutono, naturalmente del suo matrimonio con Lucia, e salta fuori il nome di Don Rodrigo: ma nelle intenzioni della donna c’era unicamente il fine di sollevare il povero curato da ogni responsabilità.

Renzo, allora, si fionda in casa dal curato dove, accecato dalla rabbia, compare adirato e con la mano sull’impugnatura del coltello che spunta dai suoi pantaloni.
Don Abbondio è spaventato da quella vista e chiama in aiuto proprio Perpetua che, entrando in casa, nega di aver confessato alcunché a Renzo e afferma che tanto a nulla sarebbe servito farlo.
Subito si Recò verso casa di Lucia per dare alla giovane e alla mamma, Agnese, la brutta notizia.


Capitolo 3
Nel frattempo, la giovane promessa sposa sta svolgendo tutti i preparativi per l’avvenimento insieme alla madre e a diverse donne: tutte la preparano e la acconciano con vestiti da cerimonia in tessuto pregiato e con oggetti e spille d’oro tra i capelli intrecciati. Una giovane amica di Lucia annuncia improvvisamente l’arrivo di Renzo verso cui Lucia stessa va incontro: il giovane ha la faccia tesa e comunica subito il rinvio della cerimonia.
Ma la discussione si anima quando, proprio Lucia, che sapeva bene del problema esistente si abbandona definitivamente alla disperazione lasciando intendere a Renzo quanto fosse al corrente di tutto.

Nei pressi c’è anche la madre di Lucia che ascolta la narrazione della figlia: giorni addietro, nella strada del ritorno dal lavoro di filatura, le capitò di incontrare Don Rodrigo che transitava per la stessa strada insieme ad un suo conoscente; chiacchieravano e avanzarono commenti non belli proprio su di lei. Lucia ne rimase offesa, ma soprattutto preoccupata a tal punto da convincerla a non parlarne con nessuno per non destare preoccupazioni e per non diffondere malelingue e cattive notizie sul proprio conto nel paese.
L’unico a cui aveva avuto il coraggio di confessare l’incontro con il tanto temuto Don Rodrigo era stato padre Cristoforo che, da parte sua, le aveva consigliato di non farsi vedere in giro e di cercar di affrettare il più possibile le nozze con Renzo per evitare qualsiasi complicazione futura.
Agnese, la madre di Lucia, apprezzò la confessione con padre Cristoforo, ma si dispiacque per l’essere stata tenuta all’oscuro di tutto, mentre Renzo, che aveva ascoltato tutto per filo e per segno, si vide porgere le scuse di Lucia, vivamente amareggiata, per aver dovuto costringerlo ad affrettare il più possibile le nozze.

A questo punto della complicata situazione Agnese, la madre di Lucia, ragionando su come poter trovare una buona soluzione pensa alla presenza del famoso dottor “Azzecca Garbugli”.
Questo fantomatico esperto in affari legali opera a Lecco nella sua abitazione. La donna ne discute con la figlia e Renzo e decide di mandare il giovane a risolvere la questione.
Renzo, quindi, parte subito per Lecco con in spalla quattro capponi che serviranno a ripagar l’esperto per il servizio che gli si domanderà di rendere.
Il giovane è molto agitato durante il tragitto e, molto divertente, è la descrizione che Alessandro Manzoni fa delle povere bestie così legate nelle mani di Renzo e appese a testa in giù; si beccano e strillano fragorosamente, ma Renzo non se ne cura perché è molto preso dal viaggio e dall’incontro che sta recandosi a svolgere. Anzi, i quattro volatili sono spesso l’oggetto preferito dei suoi sfoghi.
Giunto presso l’abitazione del dottor Azzecca Garbugli Renzo si cura di porgere subito i quattro capponi alla cuoca di casa preoccupandosi, però, di essere ben visto anche dal professionista.

Entrato nello studio colmo di libri, incartamenti voluminosi e carte sparse ovunque, Renzo viene subito invitato ad esporre il suo problema: naturalmente, essendo un popolano, un po’ per ignoranza e un po’ per incapacità nell’esprimersi con correttezza lascia intendere all’Azzecca Garbugli di voler sapere quanto sia possibile costringere un curato a svolgere per forza un matrimonio e se esistono casi precedenti che hanno previsto il versamento di una multa.
Ora, l’aspetto importante è che il dottore in questione era abituato a trattare spessissimo con personaggio piuttosto vicini al mondo della delinquenza che si recavano da lui per risolvere casi complicati e legati a crimini. Quindi venne a crearsi un malinteso.
Renzo venne scambiato per un manigoldo, per un individuo alla pari dei bravi che avevano minacciato Don Abbondio, per cui nell’interpretazione del caso il dottore manifestò serie preoccupazioni.
Dopo aver smosso montagne di carte e libri di legge, trovò e lesse insieme a Renzo una sentenza che aveva riguardato un caso molto simile e che aveva previsto pene anche molto pesanti per i contravventori.
Renzo si agitò molto fino a quando si rese conto che il dottore aveva non compreso la sua estraneità con il mondo della criminalità. Renzo per fortuna comprende quanto di sbagliato il professionista pensa di lui e si affretta a chiarire la sua posizione di vittima nei confronti di un certo Don Rodrigo che vuole mettere i bastoni tra le ruote e impedire il suo matrimonio con Lucia.

Ma il bello avviene proprio quando viene pronunciato il nome di Rodrigo: l’Azzecca Garbugli, infatti, salta letteralmente dalla sua sedia e, con aria decisamente spaventata, si affretta a cacciar via Renzo dalla propria casa. L’aspetto importante è che anche i quattro capponi vengono prontamente restituiti al giovane che viene rapidamente invitato ad uscire fuori.
Renzo è sbigottito e incredulo e senza pronunciar parole percorre a ritroso il tragitto che separa la città dal paese dove lo attendono Lucia e la madre Agnese.


Capitolo 4
Le due donne vengono messe al corrente dell’accaduto e, dopo non poche riflessioni, decidono che è proprio il caso di chiamare in caso padre Cristoforo, l’unico a cui Lucia ha confessato la vicenda e che sembra in grado di poter fare qualcosa. Il problema, però, diventa il “come” raggiungere Cristoforo senza esser viste e, quindi, senza destar l’attenzione e la morbosa curiosità delle altre donne del paese che sono al corrente delle nozze dei due giovani, ma non delle difficoltà insorte successivamente.

Ad avere l’idea per risolvere anche questo problema è la stessa Agnese: infatti la donna pensa subito a fra Galdino che proprio in quel momento è in giro per le case impegnato nella raccolta delle donazioni in noci da portare con se in convento.
E per evitare che il fraticello entri in contatto con altre donne e possa così divulgare la notizia che, invece, deve portare in gran segreto a padre Cristoforo, viene deciso di donare al convento quante più noci possibile da riempire definitivamente la cesta del frate.
Quando Galdino arriva a casa di Lucia viene descritto il miracolo che questo è solito narrare per invogliare i popolani a donare un po’ di noci: l’accadimento interessa un frate, padre Macario, e un contadino proprietario di un grande albero di noci. Insieme ad altri lavoranti l’uomo sta sradicando l’albero per farne legna a causa della sua improduttività, ma viene subito bloccato da Macario che gli promette, invece, una grande quantità di noci per il prossimo raccolto. L’uomo arresta le accette dei lavoranti e promette che all’avvenimento della profezia donerà metà del raccolto al convento.

Quando la profezia si avvera subentra il figlio del contadino ad opporsi al rispetto del patto con il convento: raccoglie l’enorme quantità di noci, ma le tiene tutte per se stipandole nel podere di famiglia.
A questo punto avviene il miracolo: tutte le noci si tramutano in un grande mucchio di foglie secche inutile per qualsiasi produzione o lavoro di campagna.
Naturalmente il racconto dell’evento miracoloso e della grande raccolta di noci che seguì a favore del convento rappresentava l’invito a rinnovare annualmente il gesto di generosità nei confronti della locale comunità dei frati cappuccini. Questa fase della narrazione è dedicata da Alessandro Manzoni a padre Cristoforo di cui viene descritta la storia. La ragione di questa descrizione è che vuole essere descritta la figura del frate e la sua caratura morale.

Padre Cristoforo è un esponente di spicco del convento dei Cappuccini, molto rispettato dai colleghi frati ma soprattutto da tutto il paese e dal circondario.
Frate Cristoforo nacque da una famiglia benestante, ma la sua storia subisce un importante e improvviso cambiamento quando, un giorno, incontra un signorotto famoso per la sua arroganza e il suo vezzo alla provocazione.
Il nostro Frate, il cui vero nome è Ludovico, si trova in transito in una strada cinta da mura insieme a due bravi e ad un maggiordomo di nome Cristoforo.
Ludovico cammina sulla destra della via, lato che, secondo una regola assai diffusa, gli riconosceva la precedenza rispetto a chi sarebbe si sarebbe mai trovato sullo stesso lato.
Ora accadde che un uomo, provenendo in direzione opposta e proprio nello stesso lato della strada, oltre a negare la precedenza a Ludovico, colse anche l’occasione per attaccar briga e sfoderare la spada a mò di sfida.

Ludovico, pronto a difendersi, ma non ad offendere rimase appunto sulla difensiva, ma fu il servitore Cristoforo a frapporsi in sua difesa e a subire l’affondo di spada dell’avversario rimanendone ucciso.
Ludovico, a quel punto, rispose all’attacco e uccise con un colpo secco il signorotto, ma ormai per Cristoforo era troppo tardi.
Ludovico scappò e, consigliato dalla folla che aveva assistito alla vicenda, si rifugiò in un vicino convento. Qui, come era consuetudine per l’epoca, venne accolto e invitato alla redenzione attraverso la vestizione dell’abito monacale.
Ludovico accettò, promettendo di prendere il nome di Cristoforo, in onore del maggiordomo, e di risarcirne la famiglia; inoltre venne stabilito che avrebbe portato le sue scuse anche alla famiglia del signorotto ucciso.
Nel giorno stabilito per l’incontro con il fratello dell’avversario, il palazzo di costui si era riempito di nobili ed esponenti delle alte sfere che volevano assistere all’avveimento tanto importante.
Padre Cristoforo si presentò con lo stesso confratello che, dopo l’incontro, lo avrebbe subito accompagnato nel luogo dove avrebbe iniziato il percorso di noviziato. Entrando nel palazzo, videro subito la folla silenziosa e molto interessata alla vicenda: tutti, infatti, attendevano le parole che Cristoforo avrebbe pronunciato. A reppresentare la famiglia c’era il fratello dell’ucciso che aspettava Cristoforo serio e composto con lo spada in pugno e lo sgardo fiero.

Ma Cristoforo seppe stupire costui e tutta la folla implorando il perdono e appellandosi a Dio a cui stava andando ad affidarsi in convento: la sua richista fu tanto sentita e implorata che il fratello del signorotto ucciso non solo lo perdonò, ma offerse addirittura la propria amicizia e alcuni doni che Ludovico avrebbe comunque potuto portare via con se.
Ma naturalmente Cristoforo non accettò partendo subito e portando via con se solo una pagnotta per sfamarsi durante il viaggio.


Capitolo 5
In questo capitolo si narra dell’incontro di fra Cristoforo con Lucia e Agnese e della decisione presa dal frate di affrontare il cattivo Don Rodrigo.
Chiamato da Galdino, infatti, Cristoforo ripensa alla confessione fattagli dalla povera Lucia e tutto l’ardore che tanto aveva caratterizato la sua giovinezza torna ad animare il suo spirito anche in questa vicenda. Era nel suo carattere, infatti, prendere inziativa ed operare in aiuto di persone indifese ed anche ora, nonostante gli abiti talari, sentiva vivo dentro di se il desiderio di fronteggiare questa ingiustizie.

Come richiestogli tramite fra Galdino dalle due donne si recò presso l’abitazione di Agnese e Lucia per discutere in dettaglio la questione ed annunciare la sua intenzione ad operare in favore dei due promessi sposi: pensava di poter affrontare Don Rodrigo e di convincerlo parlandogli direttamente al cuore tramite la parole di Dio e la preghiera.
In quella stessa occasione ebbe modo anche di incontrare Renzo e di scontrarsi con la sua irrascibilità e la sua grande agitazione per quel problema che sembrava così tanto più grande della sorte dei due poveri giovani. Fra Cristoforo riuscì a calmarlo e ad allontanare in lui ogni proposito di violenza e ogni progetto di giustizia sommaria.

Quindi tornò spedito in convento, in tempo per le preghiere di mezzogiorno e per il pranzo: in seguito,aveva deciso, sarebbe andato senza indugi a cercare Don Rodrigo.
Il piccolo borgo in cui risiedeva il cattivo signorotto distava circa tre miglia da quello di Renzo e Lucia e quasi quattro dal convento dei frati. Era arroccato in cima ad un colle e il palazzo era attorniato da un numero imprecisato di piccole casupole dove risiedevano i contadini e i servitori.
Entrando nel borgo e percorrendone le stradine con l’intento di trovare l’ingresso per il palazzo fra Cristoforo osservava l’interno della casupole dalle porte aperte verso l’esterno e rimase colpito dalla presenza, in molti casi, di diverse armi da fuoco. Impressionanti erano anche le persone che abitavano e animavano quella piccola contrada: uomini tozzi e rudi e donne dall’aria altrettanto dura e selvaggia che sembravano poter reagire a qualsiasi parole, a qualsiasi occhiata un po’ più insistente.
Raggiunse finalmente l’ingresso del palazzo di Rodrigo, ma trovò il portone chiuso; il motivo era che all’interno si stava svolgendo il pranzo e che, quindi, non era possibile disturbare i commensali


Capitolo 6
Fra Cristoforo si mise in attesa osservando i due uomini stravaccati su altrettante panche ai lati del portone. Sembravano dormire e quell’atmosfera sonnacchiosa e cadente risultava consona con l’aspetto che l’intera costruzione aveva: gran parte delle finestre erano chiuse, le imposte semi distrutte e rovinate dalle intemperie, ma spiccava la presenza di robuste inferriate ad allontanare qualsiasi dubbio sulle intenzioni del proprietario-
Sicuramente i presupposti non erano dei migliori, ma nelle intenzioni fra Cristoforo rimase saldo e sicuro; nulla lo avrebbe distolto dall’affrontare il temuto Don Rodrigo

Terminata l’attesa, padre Crisotoforo viene fatto entrare all’interno del palazzo di Don Rodrigo e accompagnato nella sala da pranzo dove il padrone di casa sta terminando il pasto insieme al cugino conte Attilio, il dottor Azzecca Garbugli e altri due uomini di minorr importanza ai fini della narrazione.
Padre Cristoforo, prima di essere preso in disparte da Rodrigo, assiste a parte di una bassa discussione che impegnava tanto i commensali; l’argomento della disputa verbale riguardava le regole che intercorrevano in un duello tra gentiluomini e le vicende che stavano accadendo attorno al ducato di Mantova conteso dal regno di Spagna, la Francia e Federico II che lo riteneva naturalmente collegato con il suo territorio.
Quando finalmente Don Rodrigo decise di porre fine alla discussione tra i convitati alla propria mensa si alzò e invitò Cristoforo a seguirlo in un'altra stanza dove poterono finalmente parlare liberamente senza essere disturbati.

Inziare ad esporre la questione che tutti conosciamo non fu assolutamente facile per il pur coraggioroso frate, poiché Rodrigo tutto fece per difendere la fama di duro e di altezzoso che tanto lo accompagnava: fisso in piedi al centro della stanza si preparò ad ascoltare le parole dell’ospite osservandolo dall’alto in basso consapevole della propria forza e della propria superiorità d’animo.
La stretegia che adottò fra Cristoforo fu quella di richiamare l’arrogante Rodrigo al rispetto della giustizia e della volontà Divina attraverso atti di clemenza e di considerazione per quella che era la vita dei poveri Renzo e Lucia e per quello che era il loro grande sogno di convolare a nozze.
Ma Rodrigo, da parte sua, controbatteva pronto e altezzoso a quelle che gli apparivano provocazioni e mancanze di rispetto: non accettava che in quel momento, proprio all’interno di casa sua, qualcuno, chiunque fosse, stesse avanzando una predica nei suoi confronti.
Cristoforo, che per nulla voleva far irritare il padrone di casa e giocarsi quella preziosa occasione, continuava la sua esposizione cercando di apparire il più rispettoso possibile e di evitare di usare parole di dura provocazione: fece finalmente il nome di Lucia e chiese a Rodrigo di lasciale vivere serenamente la sua vita insieme al suo amato Renzo.
Ma inaspettatamente la risposta di qell’arrogante uomo fu di invitarla sotto la sua protezione: lui si offirva come l’unico capace di garantirle una vita serena e piena di tutti gli agi.

A quelle parole, però, tutto l’antico orgoglio e il coraggio insito nell’animo di Cristoforo riemersero traboccanti di odio e diprezzo per quell’uomo che pensava, offrendo la sua protezione alla povera ragazza, di poter addirittura prendere il posto di Dio e di sostituire la copertura divina con la sua inutile ricchezza terrena. Cristoforo, allora, pronunciò parole dure e sferzanti che sorpresero Rodrigo; il modo e il tono con cui il frate si scagliò verbalmente contro l’avversario manifestavano tutta l’intenzione di cacciar indietro l’insolenza e l’impertinenza di quel delinquente signorotto senza l’ombra di alcun timore.
Ma, come è facile dedurre, l’esito della conversazione non fu certamente quello tanto sperato dal frate: Don Rodrigo non accusò affato il colpo e la dell’interlocutore e, al contrario, rispose con ancora maggior forza accusandolo a sua volta di grande villania e apprestandosi rapidamente a cacciarlo via dal palazzo.
L’incontro si consluse, quindi così bruscamente e violentemente.senza, inoltre, aver sortito alcuno dei risultati sperati.


Capitolo 7
Il frate esce rapidamente dal palazzo scolnvolto dalla rabbia dirigendosi verso l’uscita, ma proprio prima di lasciare la grande casa incrocia un servitore che lo ferma di nascosto rivelandogli di essere alcorrente di qualcosa di importante.
Fra Cristoforo, infatti, viene a conoscenza di come Rodrigo starebbe ideando un losco progetto anche se non se ne conoscono ancora i particolari.
Naturalmente ripercorre a ritroso il tragitto verso la casa della povera Lucia e arrivato, pur descrivendo il fallimento del suo tentativo, cerca comunque di convincere le donne e Renzo che nulla è ancora perduto: e in fondo padre Cristofoto ne è appunto convinto.

Nonostante questo, però, Agnese, la mamma di Lucia, propone una soluzione alternativa alla teoria proposta dal frate: la donna pensa che possa esser una valida idea quella di far espatriare i due giovani nel vicino regno di Bergamo, dove risiedeva un cugino di Renzo che più volte lo aveva già invitato, e dove chiunque fosse bravo a lavorare la seta veniva ben accolto.
Altro problema era poi il matrimonio: l’idea è quella di far presenziare il curato alla cerimonia, seppur contro la sua volontà, poiché la convinzione comuna era che la sua figura fosse solo necessaria ai fini dell’esito legale. Così sarebbero bastati altri due testimoni per rendere valido il vincolo del matrimonio.

Lucia tenta di opporre una timida resistenza legata alla convinzione che quanto ideato non sia propriamente legale, ma l’insistenza di Renzo e della stessa Agnese ben presto la convincono.
Renzo, allora, pensò bene di coinvolgere un suo conoscente, Tonio, che tra l’altro ave aun debito proprio nei confronti di Don Abbondio: se avesse presenziato alla cerimonia avrebbe ricevuto in dono la somma di denaro per saldare il suo debito. Tonio, naturalmente accettò di buon cuore e propose anche il nome del secondo testimone, il tranquillo e disponibile Gervaso.
L’accordo era stato così raggiunto e il progetto ben ragionato: ma quello che continuava ad agitare i nostri protagonisti era uno strano movimento di persone che iniziò improvvisamente a vedersi nel paese e nei pressi della casa di Lucia.
Uno strano mendicante busso proprio alla sua porta buttando strane occhiate all’interno della casa una volta accolto, diverse prsone erano transitate davanti l’abitazione e davanti l’osteria dove Renzo si era incontrato con Tonio e Gervaso, ma nessuno di loro seppe il motivo. L’unico che lo scoprì fu fra Crisotofo: la ragione era che Don Rodrigo aveva pensato di rapire Lucia.

Un progetto che non andò a buon fine grazie all’idea che Agnese aveva avuto e che avebbe fatto allontanare i due giovani da quel posto.
Giunta la notte la combriccola prende la strada della casa di Don Abbondio.
Giunti li, Tonio e Gervaso hanno il compito di bussare alla porta con l’intento di attirare Don Abbondio sulla porta grazie all’esca del debito da saldare. Dopo aver bussato Perpetua procede a chiamare il curato, impegnato nel suo studio in una impegnativa lettura, ed è proprio in quel mentre che anche Renzo, Lucia e Agnese si appostano nei pressi dell’uscio della casa.


Capitolo 8
Giunta la notte la combriccola prende la strada della casa di Don Abbondio.
Li, Tonio e Gervaso hanno il compito di bussare alla porta con l’intento di attirare Don Abbondio sulla porta grazie all’esca del debito da saldare. Dopo aver bussato e ottenuta la risposta di Perpetua, questa procede a chiamare il curato, impegnato nel suo studio in una impegnativa lettura, ed è proprio in quel mentre che anche Renzo, Lucia e Agnese si appostano nei pressi dell’uscio della casa. Ognuno di loro conosce bene qual è il suo compito e tutti sanno alla perfezione come devono comportarsi.
Il curato, avuta notizia della buona intenzione del popolano giunto a trovarlo per consegnarli la somma di denaro di cui era debitore, lascia di buon grado la sua lettura e da a Perpetua il permesso di far entrare i due compagni. Così attende il loro arrivo.

Tonio e Gervaso, così, entrano nell’abitazione facendo segno ad Agnese che si appresta a seguirli: vuole, con un banale pretesto, attirare l’attenzione di Perpetua e distrarla. I compagni salgono dal curato e Agnese, appunto, si presenta alla domestica portandole una falsa diceria che sembra girare in un paese vicino e che riguarderebbe il suo stato di famiglia. Perpetua, naturalmente, colpita nell’intimo viene subito coinvolta in una discussione accesa: inizia così ad allontanarsi insieme ad Agnese.
E’ il momento di Renzo e Lucia che entrano in casa e si appostano, senza farsi scorgere, fuori dalla porta dello studio del curato; qui Tonio e Gervaso stanno recitando alla perfezione la loro parte.
Don Abbondio, impresentabile ai più perché vestito di un grosso camicione da notte e di una papalina, aveva interrotto la sua lettura e, aperto un grosso librone si apprestava a registrare la restituzione del prestito dietro presentazione di una collana che Tonio aveva tolto alla moglie.
Ben attenti a coprire la visuale verso la porta, dove sapevano attendere Renzo e Lucia, al momento giusto i due popolani fecero il segnale concordato e invitarono i promessi sposi ad entrare: questi , nel massimo silenzio e senza far rumore scelsero il momento migliore, quello in cui il curato si occupava dell’aggiornamento del librone.

Cos’, quando rialzò la testa per volger nuovamente lo sguardo verso Tonio, questo si vide davanti Renzo e Lucia; il suo stupore fu talmente tanto che non si rese neanche conto della formula di rito già pronunciata dal giovane, mentre lo stesso si apprestava a fare anche La ragazza.
Ma a questo punto accade l’inaspettato. Riavutosi dallo sbigottimento e capita l’intenzione, il curato scatta per porre fine a tutto quel tranello. Manda all’aria quanto si trova sul tavolo e preso una specie di tappeto, lo usa per soffocare le parole di Lucia: la copre sul capo mentre con inaspettato vigore urla e strepita per difendersi da quell’inaspettato attacco.
Lucia è ormai bloccata e spaventata e nulla le permetterà più di recitare la formula e di compiere il matrimonio; don Abbondio è furioso e urlando come un matto si rifugia in una stanzetta attigua chiudendovisi dentro, mentre Tonio e Gervaso prendono la via della fuga ormai spaventati e preoccupati per le conseguenze di quel fallito matrimonio.
Renzo, imperterrito, continua a battere sulla porta del rifugio del curato finché le urla di questo, che invocano aiuto, non svegliano il sagrestano..
Le urla sono rauche e disperate e le invocazioni svegliano Amborgio e richiamano Perpetua che stava allontanandosi insieme ad Agnese. Le campane iniziano a suonare all’impazzata dato che il sagrestano sa di dover, in certi casi, richiamare l’attenzione del paese per avere tutto l’aiuto della gente. Ma la fortuna volle che quella improvvisa confusione ottenne anche altre fondamentali conseguenze che evitarono la capitolazione per i due innamorati
Nel frattempo che il paese va svegliandosi e radunandosi davanti alla chiesa, Renzo e Lucia si ricongiungono ad Agnese per fuggire senza esser visti versa la casa delle due donne, ma è qui che sta avvenendo l’imprevisto. Un urlo squarcia il silenzio di quella parte della contrada poiché all’interno dell’abitazione si sono appostati il Griso, uomo di Rodrigo, e un suo complice con l’intento di rapire la ragazza. Il Griso, coperto di uno strano mantello incerato, è lo stesso mendicante che si era visto aggirare nei paraggi e chiedere l’elemosina alla stessa Agnese.

Per fortuna, però, il progetto dei due malviventi non va a buon fine: sarà, al contrario di Lucia, il giovane Menico, inviato da Cristoforo per avvisare Renzo e la promessa sposa del pericolo, a subire l’attacco dei due rapitori. Così, non solo perché si accorgono dell’errore, ma anche per l’improvviso richiamo delle campane, i due delinquenti fuggono verso il palazzo di Rodrigo a mani vuote.
Sulla strada, inoltre, avviene l’incontro tra Menico, Renzo, Lucia e Agnese: l’intero progetto di Rodrigo viene loro svelato e l’intento di Cristoforo di metterli in salvo annunciato.
I tre ringraziano Menico e corrono rapidamente verso il convento dove fra Cristoforo spiega per filo e per segno quanto da lui organizzato per la fuga: una barca è pronta in riva al lago, in località Pescarenico, per traghettarli verso l’altra sponda insieme ad una lettera di accompagnamento che aprirà, per Lucia, le porte del convento di Monza e, per Renzo, le porte dei Cappuccini di Milano.
Il gruppetto si avvia, così, con passo spedito verso Pescarenico perché è necessario non attendere neanche un minuto di più, dato il grave pericolo che incombe.

Così il capitolo, a questo punto, si chiude riportando una lunga serie di riflessioni e pensieri della povera Lucia che si trova melanconicamente abbandonata all’interno dell’imbarcazione. Scorrono i suoi ricordi come se quel viaggio fosse l’ultimo e il definitivo che la separerà dalla sua casa e dalla sua terra: osserva le case e le ville sparse sulla collina, pensa alla chiesa dove tante volte si è recata per trovare conforto in Dio ed esprime tutta la sua preoccupazione e la sua tristezza per il futuro incerto che la sta attendendo.
Silenziosamente, in quell’angolo della barca, piange. Ma nessuno la sentirà.


Capitolo 9
Sbarcati nel punto in cui era stato proprio previsto da padre Cristoforo, i tre seguono le indicazioni precise fornitegli dal caro frate: Renzo si accommiata dalla triste e sconsolata Lucia e dalla combattiva Agnese diretto a Milano, mentre le due donne prendono la strada di Monza e del convento dei Cappuccini a cui la lettera tanto preziosa è indirizzata.
Qui l’accompagnatore delle due donne si presenta subito al guardiano a cui consegna prontamente la lettera, proprio come nel volere di Cristoforo. Ed infatti, letta la missiva, l’uomo afferma subito che la migliore soluzione è quella di esporre il delicato caso alla “signora”, la reverenda madre del vicino monastero femminile.

Raggiunto questo secondo luogo, Agnese e Lucia furono lasciate ad aspettare nel cortile mentre il guardiano cercava di ottenere un incontro con la reverenda sulla base delle informazioni fornitegli dalla lettera di padre Cristoforo.
Fortunatamente l’incontro viene concesso, così anche il famoso personaggio della “Monaca di Monza” fa il suo ingresso nel racconto del Manzoni.
Agnese e Lucia vedono per la prima volta la reverenda madre raggiungendola davanti ad una spessa e robusta grata e da cui rimangono divise . La donna è giovane e caratterizzata da un pallore del viso molto accentuato, tant’è che anche le sue labbra di un rosso appena accennato sembrano avere un grande risalto; inoltre la lunga tonaca nera è leggermente stretta in vita, cosa molto inusuale, e una ciocca di capelli evidentemente lunghi fuoriesce addirittura dalla fascia bianca che stringe la fronte della donna. Il particolare è rilevante dal momento che per tutte le monache era assolutamente obbligatorio tagliare corti i capelli.

La monaca di Monza appare bella, il suo viso ha un’espressione dolce e rassicurante, ma la mancanza di cure e di attenzioni ha inevitabilmente sfiorito tanto splendore.
A quel punto il guardiano del convento vicino presenta il caso della povera Lucia omettendo, per rispetto verso la reverende madre, i particolari più volgari della vicenda.
La monaca rimane sorpresa annunciando, però, la disponibilità sua e di tutto il monastero ad offrire un aiuto a patto che sia la stessa Lucia ad esporre in tutta sincerità i fatti.

La ragazza, allora, si accosta alla grata per interloquire con la monaca, ma sia per la grande reverenza, sia per la sua timidezza e timore, sembra tentennare nella esposizione. Sarà Agnese, a quel punto, ad intervenire e a sottolineare il grande odio della figlia nei confronti del perfido Rodrigo.
Ma siccome la reverenda madre esige ricevere una conferma a quella storia dalla bocca stessa di Lucia questa, sollecitata anche dal padre guardiano, finalmente supera il suo timore reverenziale e ribadisce tutto il suo odio per l’uomo che la perseguita.
La monaca di Monza, soddisfatta, comunica la sua intenzione a proteggere la ragazza e, rivolgendosi al padre guardiano, assicura che le sarà destinata una camera presso la casa della fattrice del monastero.
Negli occhi del padre guardiano che, dopo essersi accomiatato, prende la via del ritorno al convento dei Cappuccini c’è grande soddisfazione, ma soprattutto è grande il desiderio di comunicare la riuscita del progetto al caro amico Cristoforo.

Agnese e Lucia, rimaste ospiti del monastero, continuano la conversazione con la reverenda madre che mostra un grande interesse per la vicenda dei due sposi e per la figura del persecutore.
La Monaca di Monza è figlia di un ricco gentiluomo Milanese che, come era usanza in quel tempo, aveva destinato quasi tutto il suo patrimonio al suo primogenito programmando per gli altri maschi la carriera militare e per le femmine la vita in conventi e monasteri.


Capitolo 10
Gretrude, questo era il suo nome di battesimo, non era di certo nata per fare la suora, ma sin da bambina era stata messa a giocare con bambole vestite da religiose e abituata a sentirsi chiamare con nomi e appellativi propri dell’ambiente religioso. A sei anni entrò in quello stesso monastero, ma quando, un po’ più grandicella, confrontandosi con altre coetanee capì che il suo destino era legato a quel posto, fece di tutto per ribellarsi. Naturalmente, nel caso di Gertrude, avevano preso il sopravvento la volontà del padre e gli accordi tra questo e la badessa. Viene descritta la lettera con cui la giovane tenterà fino all’ultimo di far comprendere al padre come la sua volontà si molto lontana dal voler vivere in convento, come si senta molto legata alla famiglia e alle cose terrene; ma la sua supplica non otterrà i risultati tanto sperati.
Così, dopo esser stata sottoposta ad un'autentica tortura psicologica, Gertrude avverte che per lei non c'è posto tra la famiglia ne palazzo: disperata e contro la sua volontà esprimerà il definitvo proposito di tornare in convento, cosa che sarà accolta con grande entusiasmo dalla famiglia. Con estrema rapidità si sfrutta il momento. Portata in convento fa domanda di essere definitivamente accolta nel monastero.
C'è una prova da superare: Gertrude deve sostenere un esame con il padre guardiano che deve stabilire che la decisione è autenticamente spontanea e libera e non condizionata da pressioni esterne. Gertrude non ha il coraggio di dire la verità e tra grandi festeggiamenti si trova suora per sempre. Vittima del sopruso, della frode, del ricatto, come non seppe perdonare, così non seppe cercare nella fede le grandi consolazioni che si concedono a tutti gli infelici. Continuò a rammaricarsi con se stessa, ad avvertire le suore come strumenti dell'inganno, a vedere dappertutto una realtà sociale da cui era esclusa e che l'esclusione contribuiva a rendere gradevole, anzi veramente felice.

La sua vita di suora conosce l'altalena delle passività e delle ribellioni, l'insoddisfazione e la ricerca di una persona a cui appoggiarsi e in cui trovare fiducia, ma la vita del chiostro non allontana però la giovane dalle passioni terrene: i suoi primi anni in monastero sono dunque segnati dall'odio verso le altre suore e da improvvisi cambiamenti d'umore. Non certo le dava se non provvisorie consolazioni il sapersi di grande famiglia, come anche i privilegi di cui godeva nel convento. La sua vita mutò radicalmente, quando cedendo alle pressioni e alla corte di un giovane scellerato, Egidio, che abitava accanto al convento, si lasciò da lui sedurre divenendone l'amante. Per un po' una sorta dì gioia le diede l'illusione di aver trovato ciò che cercava.

A volte però cadeva in stati d'animo di prostrazione e di abbattimento. Ma scivolò via dal peccato al delitto. Un giorno una suora conversa minacciò di rivelare ai superiori la tresca amorosa: poco dopo scomparve. Era stata uccisa da Egidio e sepolta vicino al convento. È passato un anno dopo questi fatti, quando Lucia bussa alla porta del convento, si raccomanda alla generosità della suora cui era dato il titolo distintivo di "signora" e viene accolta nel monastero.


Gli altri riassunti li trovate QuI



Edited by 737-737 - 1/2/2009, 13:11
 
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